Sono le canocchie, meglio note da queste parti come “cicale”, il prodotto del mare più pescato dalla flottiglia peschereccia sipontina. Nel 2013 sono stati 240.550 i chilogrammi pescati; al secondo posto si sono piazzate, ma ben distanziate, le triglie con 96.710 kg; a contendere la seconda piazza con 95.150 kg i polpi; quindi al quarto posto i merluzzi nelle tre specialità, con 90.500 kg tallonati dai suri detti anche “sgombri bastardi”, con 88.750 kg; seguono i totani con 73.260 kg; i rossetti con 49.150 kg fino alle mormore buon ultime con 8.470 kg di una lista di 24 specie dalla quale manca il bianchetto ormai messo al bando. Complessivamente 1.005.274 chilogrammi per un valore di 5.094.278,68 euro.
Quanto innanzi si riferisce al movimento commerciale del mercato ittico nella gestione in economia del Comune di Manfredonia. Movimento prodotto ad una parte, la minore, della capacità produttiva della flotta peschereccia di Manfredonia. Sono infatti poco più di una quarantina le barche che si servono del mercato ittico per la vendita del pesce pescato. Tutte le altre, circa duecento, seguono vie diverse, quelle che portano ai cosiddetti “grossisti” che comprano intere partite di pesce per rivenderle ai dettaglianti o spedirle sui mercati di altre regioni. Una pratica del tutto legittima sancita dal libero mercato. Un fiume finanziario di grande consistenza che si disperde in tanti rivoli per lo più sotterranei, che sfuggono ad ogni rilevamento e ad ogni controllo e che vanno dunque ad alimentare quell’economia sommersa e che tutto sommato assicura un sostanziale sostegno al sistema economico più generale del territorio. Le ragioni della diserzione del mercato ittico sono tante e diverse: le polemiche incrociate esplose in queste settimane ne danno uno spaccato significativo. Purtroppo non si è riusciti a dare al settore il respiro che merita.
Per avere una misura più vicina alla cospicua realtà produttiva del settore peschereccio che in ogni caso sfugge ad ogni razionale esame, va considerato il non meno consistente settore dei frutti di mare, del comparto dell’allevamento anche questo sempre più presente sui mercati, del commercio del pesce congelato. Insomma, quello dei prodotti del mare è un distretto di grande interesse non solo economico nonostante in questi ultimi anni abbia subito un forte ridimensionamento peraltro in itinere.
Le limitazioni sullo sforzo di pesca e quindi sulle metodologie da adottare imposte dalla Comunità europea, il forte incremento dei costi di esercizio ed anche un certo disinnamoramento verso un mestiere che presenta innegabili aspetti usuranti e di rischio, hanno portato alla riduzione dei pescherecci con tutto quello che ne ha conseguito a cominciare dalla ridotta occupazione diretta e indotta. Con grande disappunto dei pescatori che contestano le politiche europee quanto meno di quelle riguardanti i nostri mari. Una situazione nell’insieme squilibrata che sfocia nell’abusivismo: nella attività di pesca, nella commercializzazione. Basta guardarsi in giro per la città e vedere i tanti ambulanti occasionali venditori di pesce anche di quello vietato come il bianchetto e il rossetto (non è ancora arrivata l’autorizzazione dal Bruxelles).
“E’ un vero peccato lasciare nel mare tanto ben di Dio che può dare tanti benefici alla gente”, osservano gli operatori interessati ma anche la gente che compra volentieri quei prodotti. Un mercato parallelo a quello ufficiale dei mercatini, sul quale si appunta la doverosa attenzione della autorità marittima cui è affidato il compito di far rispettare le leggi vigenti. Di qui i controlli, i sequestri di prodotti ittici non conformi alla normativa, le sanzioni.
Manca in definitiva una più accorta politica di gestione della ricchezza mare anche dal punto di vista della pesca, tra le attività più antiche rimasta quanto meno culturalmente poco adeguata ai meccanismi di mercato progrediti.
Michele Apollonio